Mari di carta

Le carte nautiche antiche riportavano solo la latitudine e distanze approssimative da punti di riferimento a terra… Come calcolare la propria posizione in mare aperto senza un confronto con la longitudine?

Mari di carta, di Giuseppe Fausto Macrì, racconta di Domenico Vigliarolo un cartografo italiano alla corte del re di Spagna incaricato di tracciare percorsi verso luoghi mai visti ma di rilevanza strategica per il futuro del regno più esteso al mondo in quei tempi.

Le mappe erano tracciate sul dorso conciato di pelli ovine che arrotolate su un bastone di legno per prevenirne le piegature risultavano essere molto resistenti e di facile trasporto. La caratteristica saliente di queste mappe consisteva nel fatto che vi erano rappresentati i soli territori costieri con sorprendente precisione rispetto alle carte terrestri dello stesso periodo. Mentre la forma complessiva dei territori risulta molto deformata. Lungo le linee costiere venivano fittamente incisi i nomi delle località usando inchiostro rosso per quelle di maggiore interesse e il nero per le altre che assolvevano a mera funzione di orientamento durante la navigazione sottocosta. L’Oceano Atlantico finiva spesso col risentire pesantemente delle conoscenze molto approssimative sulla sua natura: a ovest delle isole inglesi figuravano spesso territori del tutto immaginari, come le isole di Brazilia, di Mom e di Antilia, mentre per lungo tempo a nord-ovest viene rappresentata l’inesistente Frislanda, originata dai resoconto di viaggio del capitano veneziano Nicolò Zen.

Il disegno era poi completato da un reticolo di rette che dipartendosi da punti scelti anche in maniera casuale seguivano una inclinazione reciproca ben precisa in modo da formare una serie di rombi. Il reticolo era ottenuto infatti partendo dal tracciamento delle linee che rappresentavano i quattro venti principali per la navigazione coincidenti con i quattro punti cardinali, via via individuando le direzioni intermedie. Ne risultava un reticolo con distanze angolari costanti che consentivano orientamenti precisi verso qualunque direzione (punti di intersezione multipla). Non vi era infatti rappresentazione delle longitudini ma vi era solo una barra verticale di gradazione delle latitudini e una scala (approssimativa) delle distanze.

Questo costituiva un problema di non poco conto per le continue perdite di bastimenti, tanto che si istituivano premi in denaro per colui che fosse pervenuto a risolvere il problema. Ma solo nel 1759, dopo oltre due secoli e infinite navi perdute, il cronometro inventato da tal John Harrison consentì un approccio risolutivo all’annosa questione.

Già dalla fine del XIII secolo le carte nautiche avevano cominciato ad assolvere funzioni diverse da quelle per le quali erano state concepite, unendo al “rigore” scientifico un gusto scenografico che consentì loro di divenire quei documenti di straordinaria bellezza giunti sino a noi.

La qualità editoriale di Mari di Carta mette in evidenza gli elementi pittorici più caratteristici ma anche le tecniche di tracciamento delle rotte dei navigatori che queste carte si portavano appresso: le rose dei venti accanto alle raffigurazioni delle città di riferimento disegnate con le caratteristiche dei loro skyline, come in un portolano, le distanze tra i porti e le immagini delle navi tipiche di quei mari; i confini territoriali e la raffigurazione dei regnanti di quegli Stati nelle fogge tipiche. Uno spunto antico per i moderni produttori di carte per GPS?

Mari di Carta è edito da Rubbettino Editore.
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