Testo e foto di: M. Cristofolini

Il Madagascar è situato a 250 miglia dalla costa est dell’Africa, di fronte alle coste del Mozambico. Un canale di poche miglia che separano un’isola staccatasi dal continente “solo” qualche milione di anni fa, fenomeno che ha permesso lo sviluppo di un ambiente assolutamente unico sia per flora che per fauna.  L’isola sembra sia rimasta ad uno stato di  Eden sia in mare che in terra e se non fosse per la pesante deforestazione subita in alcune aree questo Paese sarebbe sicuramente uno dei posti più affascinanti della terra. La spinta al taglio indiscriminato degli alberi, provocata dall’estrema povertà che rende il legname una facile fonte di sostentamento, ha consentito lo sviluppo del  commercio di legname prezioso. Nell’Isola Rossa, così detta  proprio a causa di questo fenomeno che ha messo a nudo vaste aree colpite da forti erosioni, resta soltanto il 15%  circa di quella che era la foresta primaria che copriva buona parte del Paese.  Ulteriori danni si sono avuti  sempre con  il taglio dei boschi per far posto a risaie e pascoli. Comunque, per noi che andiamo per mare, resta un luogo di straordinaria bellezza.  Le sue spiagge, le baie, i villaggi di pescatori, i pescatori nomadi a bordo delle tipiche piroghe a vela, riti, culture e cerimonie, sono tutti ingredienti che fanno di un viaggio in questo piccolo “continente” un’esperienza davvero unica.

Il Madagascar si sviluppa da Nord a Sud per una lunghezza di circa  1600 km  con climi diversi a seconda delle zone.  Grazie alla sua posizione vicina al 20° parallelo, è una terra influenzata da un clima tropicale caratterizzato da una notevole variabilità.  Tanto che l’isola può essere suddivisa in 6 zone con differenti microclimi,  dalla costa est, più soggetta alle perturbazioni cicloniche dell’oceano Indiano, alla costa ovest, più riparata e meno piovosa, dal nord al sud, dagli altopiani alle zone montuose, la varietà del paesaggio rende interossante qualsiasi esplorazione.

Il periodo migliore per una crociera va da settembre a novembre con un clima relativamente asciutto, piacevole e ben ventilato. In questo periodo gli Alisei di SE riescono ancora a contrastare il monsone che si prepara ad entrare da nord ovest, monsone caldo umido che da dicembre a marzo  scaricherà forti piogge accompagnate da  forti venti. Da marzo a settembre la temperatura scende un po’ (25°) il cielo è un po’ velato, ma è comunque un buon periodo per noi italiani, vacanzieri ferragostani.
L’area di navigazione che ci interessa, ovvero la costa nord-ovest intorno a Nosy Be,  è una parte ben protetta e grazie alle numerose isole e alle profonde insenature protette dal Cap d’Ambre e dal Cap St. Sebastien  permette di poter navigare per buona parte dell’anno.
Il tour a vela classico  parte da Nosy Be  luogo dove si concentrano le maggiori compagnie di charter.  Vasta è la scelta di imbarcazioni che si hanno a disposizione compresi daho e piroghe locali per avventure estreme, ma  sicuramente il catamarano è il mezzo migliore perchè permette di avvicinarsi alle spiagge e poter transitare nei passaggi più difficili. Dal punto di vista puramente nautico la navigazione può risultare particolarmente difficile a chi non è abituato ai cambi di marea o a districarsi tra le barriere coralline.  Va quindi posta una particolare attenzione a come ci si muove. Meglio sarebbe  avere a bordo un locale che conosca l’area di navigazione.  Va ricordato anche che i segnalamenti marittimi sono scarsi. Per questa ed altre ragioni le compagnie di charter tendono a noleggiare le barche a skipper esperti. Nosy Be ha una posizione strategica ed è stata nel tempo meta di flotte di navi da guerra e commerciali  indiane, arabe, portoghesi così come di pirati. E’ il centro turistico più importante del Madagascar. La sua capitale è una cittadina molto attiva che vive molto sul turismo, con i suoi 35.000 abitanti circa, ed è ricca di ristoranti con ottima cucina tradizionale. Nosy Be è chiamata l’isola dei profumi. Le strade di Hell Ville sono pervase da un misto di fragranze di vaniglia, cannella, chiodi di garofano,  spezie varie  e del famoso Ylang Ylang, essenza primaria per la produzione di profumi. Il nome Hell (inferno)  non deve impressionare perché non sta a significare qualcosa di negativo per la città ma è soltanto il nome dell’ammiraglio e governatore di La Reunion che nel 1840 prese sotto la sua protezione l’isola dietro precisa richiesta della regina  Tsiomeko, sconfitta in battaglia dall’etnia Merina. Nosy Be ha quindi risentito dell’influenza francese mezzo secolo prima del resto del Madagascar.

Prima di imbarcarsi comunque vale la pena visitare un po’ i dintorni, come la riserva naturale di Lakobe, per esempio, dove si trovano gli ultimi 730 ettari di foresta primaria ricca di migliaia di specie di piante ed una rappresentanza tipica della fauna malgascia: lemuri, camaleonti e rettili, tra i quali anche il boa constrictor.

Ma ora è venuto il momento di salpare.
L’avventura comincia con una piccola navigazione  di 15 miglia verso sud est, Nosy Komba,  una piccola isola vulcanica contornata da spiagge bianche. Si ormeggia  a sud ovest presso il villaggio di  Mahabo. L’isola è chiamata “l’isola dei lemuri” perché  pare ce ne siano almeno 5000 sparsi sull’isola e sono talmente abituati ai turisti che si fanno molto audaci, fino a  rubare la frutta dalle mani a chi è disposto ad un contatto ravvicinato.
Altre  10 miglia verso ovest e  siamo a Nosy Tanikely, area marina protetta, l’eden dei divers. L’isola è molto piccola, disabitata, anzi abitata solo dal guardiano del faro.  Ormeggiamo un po’ fuori e al primo tuffo si resta impressionati da quanto qui l’acqua sia cristallina in queste comode piscine naturali che si formano con la bassa marea. Salpiamo la mattina di buon ora e dirigiamo a nord per una ventina di miglia costeggiando il lato ovest di Nosy Be.  Arriviamo a Nosy Sakatia “l’isola delle orchidee”.  In Madagascar tutti i luoghi, le isole, o le popolazioni hanno un secondo nome che può essere la traduzione dalla lingua locale o semplicemente il significato di qualcosa che lo caratterizza. Nosy Sakatia è anch’essa una piccola isola ma molto carina. Qui avremo il nostro primo approccio alla vita selvaggia. Dopo aver buttato l’ancora su un fondo sabbioso ci addentreremo nella foresta alla ricerca delle orchidee selvatiche che qui crescono in abbondanza e con un po’ di attenzione si potranno vedere anche camaleonti e volpi volanti che sulle cime degli alberi si nutrono di frutta. Si riparte con rotta sud ovest. La tratta tra Nosy Sakatia  e Nosy Iranja è lunga: la  spezziamo con una sosta a Russian Bay. In questo tratto di circa 25/28 miglia fuori dal golfo di Ampasindava il mare in certe stagioni può risultare un po’ mosso ma Russian Bay, il cui vero nome è  Ambavatory Bay,  fa al caso nostro. E’ chiamata la baia dei Russi per la lunga permanenza di alcune navi russe che nel 1905 erano in trasferimento dal mar Baltico verso la Corea dopo aver circumnavigato l’Africa.  Una volta giunte in Corea  avrebbero dovuto contrastare lo strapotere della flotta Giapponese durante la guerra espansionistica delle due super potenze espansionistiche dell’epoca. Ma qui rimasero per lungo tempo, dimenticati e senza rifornimenti. La baia è formata da 3 baie più piccole e alcune profonde insenature con spiagge deserte  sormontate  dalla foresta pluviale. Alcune di queste baie offrono un ottimo rifugio in caso di maltempo improvviso e sono usate dai pescatori e da imbarcazioni in transito durante  fenomeni ciclonici particolarmente forti. Ma nella bella stagione non ci sono problemi,  il vento si alza in tarda mattinata come a non voler disturbare i turisti e soffia quasi sempre da terra per portarci tranquillamente da un’isola all’altra.
Prossima tappa, a sole 14 miglia, Nosy Iranja, “ l’isola delle tartarughe”,  è costituita da 2 isole unite  da una striscia di sabbia praticabile solo con la bassa marea, Iranja Be e Iranja Kely. Per la pescosità delle acque che la circondano molti  pescatori vengono dalla terra ferma e tra un’uscita e l’altra tirano in secca le loro piroghe sulla spiaggia. Su Iranja Be c’è un piccolo villaggio di locali che vale la pena visitare, così come vale la pena farsi una camminata in mezzo alla foresta per salire sul vecchio faro, dal quale si gode di una spettacolare vista a 360 gradi.

Scendiamo ancora dritti verso sud costeggiando la penisola sulla rotta per le Isole Ramada, dopo 8/9 miglia si può fare una piccola deviazione  verso la costa. Troveremo la foce del fiume Baramany,  navigabile per un breve tratto,  lo risaliremo fino a raggiungere un interessante villaggio di pescatori, gente molto ospitale. Qui troviamo ormeggiate una bella collezione di imbarcazioni locali e qualche cantiere di barche in costruzione. Un gran numero di rastrelliere dove viene steso ed essiccato il pesce sono disseminate sulla spiaggia. Bellissimo è lo spettacolo che al tramonto offrono le piroghe che entrano a vela nel fiume. Al villaggio si può lasciare la barca e col tender si può risalire ancora  per una piacevole esplorazione, ma occorre dotarsi  di un buon repellente per zanzare che nelle mangrovie abbondano.
Torniamo in rotta e raggiungiamo le Ramada, queste  sono un gruppo di 4 isole coralline poco abitate e coperte da lussureggiante vegetazione Nosy Kalakajoro, Nosy Ovy, Nosy Antanymora e Nosy Valiha,  i pescatori sono estremamente socievoli e conviviali, tant’è vero che una di queste isole, Kalakajoro, significa “l’isola dove vive la gioia”.  Se non siete riusciti a pescare nulla fino ad ora, cosa assai improbabile, potrete facilmente comprare pesce fresco e magari cucinarlo con i locali su un improvvisato barbecue. Le Isole sono tutte vicine una all’altra da 1 a 5 miglia al massimo ed offrono buoni ormeggi in rada. Ognuna ha una sua caratteristica particolare: su Antanymora vive una comunità di pescatori di oloturie o “cetrioli di mare” che si fanno essiccare al sole per poi esportarli in oriente dove sono molto richiesti per la cucina cinese. Nosy Ovy, dove si può ormeggiare nella baia di Rafalahy, ha una buona parte della sua superficie  coperta da grandi alberi e boschetti di bambù che ospitano uccelli di ogni tipo e colore. Un posto primordiale, insomma, dove non sempre si incontrano altre barche con occidentali in vacanza.

Torniamo verso Nosy Be.  A questo punto la crociera sarebbe finita ma …. le isole Mitsio?
Il bello di descrivere un viaggio senza tempo è che non hai il volo di ritorno da rispettare, quindi rientriamo alla base, facciamo acqua e cambusa e ripartiamo alla volta di questo nuovo arcipelago situato a 40 miglia a nord di Nosy Be, un tratto di mare dove non è impossibile incontrare le balene.
Le Mitsio sono un po’ più esposte rispetto alle isole intorno a Nosy Be e  nonostante si trovino sotto il capo Saint Sebastien  il moto ondoso in certe giornate si fa sentire rendendo incerta la tenuta dell’ancora. Atterriamo su Grand Mitsio e gettiamo il ferro a nord,  vicino ad una spiaggia di un bianco accecante. Quest’isola è l’unica abitata.  Le altre non sono altro che piccole perle gettate disordinatamente qua e là dove qualche malgascio vive in capanne improvvisate a ridosso delle spiagge. Alcune sono ricoperte da palmeti e circondate da acque turchesi, altre, come Tsarabanjia, conservano una parte di foresta pluviale. L’ isola è anche ricordata per una curiosa  formazione rocciosa, una roccia basaltica piantata nel mare con forme ottagonali per questo chiamata “le canne d’organo”.  E’ possibile ormeggiare nei pressi ma solo con mare molto calmo. E’ interessante fare un’escursione all’interno per visitare il cimitero dell’etnia Sakalava. In Madagascar convivono circa 22 gruppi etnici distinti per origini , abitudini o zone di provenienza, discendenti dagli  arabi, dai cinesi, dagli africani e dagli europei. Sparsi sulle coste, all’interno e sugli altipiani si chiamano con nomi tipo: Antaimoro “quelli della costa”, Antonosy “quelli dell’isola”, Betsileo “gli invincibili”,  Merina “gente degli altipiani” e i Sakalava “quelli delle lunghe vallate”. Questi ultimi, come dicevamo, hanno un loro cimitero all’interno di una grotta dove i personaggi di alto livello venivano sepolti in canoe usate come bare. Un tempo i Sakalava erano soliti dipingere esplicite scene di sesso per simboleggiare la potenza e la fertilità dell’antenato. Questo è un luogo molto suggestivo, considerato sacro per i locali, e va visitato con grande rispetto.
Ma il momento del rientro alla base prima o poi arriva. Una bella veleggiata per tornare a Hell Ville dove gusteremo tipici piatti della cucina creola gustosissimi e speziati per portarci a casa il  ricordo di sapori  particolari come  le aragoste allo zenzero con  riso al cocco o il curry di pollo e gamberi. Qui ci sono gamberi a non finire sempre disponibili grazie agli allevamenti che offrono un prodotto di grande qualità anche  nella stagione  in cui la pesca è difficile a causa dei monsoni.
In verità il Madagascar è un Paese che meriterebbe una visita molto più lunga e approfondita o addirittura meriterebbe più viaggi. Una crociera sicuramente non basta. Le baie formate dagli estuari dei fiumi… , le balene che vengono a partorire… , la tranquillità  e l’ospitalità dei villaggi dei pescatori…, i canali navigabili  della costa orientale…, tutto questo ci manca ancora. Bene…. ce lo riserveremo  per un prossimo viaggio.