Pianosa – una storia travagliata

Testo e foto di: Maurizio Cristofolini

Fu un inverno di molti anni fa quando scorsi per la prima volta Pianosa. La vidi da lontano. Stavamo navigando con un 57 piedi a vela, partiti da Cala Galera diretti a Lavagna con una sosta a Capraia. Il tempo era brutto, pioveva, le nuvole formavano un coperchio grigio piombo che ci schiacciava tra i frangenti, avevamo sul naso il vento di maestrale, gli spruzzi delle onde che si rompevano sugli scogli di Pianosa si alzavano alti e da lontano davano dell’isola quell’immagine tipica delle terre abbandonate e inospitali. Non era vista come un riparo dalla burrasca era piuttosto qualcosa da evitare, pensiero avvalorato da tutti i divieti che la contraddistinguono: vietato avvicinarsi, vietato ancorare, vietato questo, vietato quello, vietato tutto. Meglio ridurre molto la vela e tirare dritto verso nord lasciando l’isola sulla nostra sinistra.

 

Alcuni anni dopo, quando ormai anche l’ultimo detenuto aveva fatto le valigie e il carcere era stato chiuso definitivamente, decisi per una visita sull’isola, approfittando di alcune belle giornate di fine settembre. Pianosa dista poche miglia dall’Elba e partendo da Marina di Campo, in 30 minuti di piacevole navigazione, siraggiunge il molo di attracco. In alta stagione c’è un servizio anche da Porto Azzurro: la navetta parte alle 10,00 e ritorna alle 17,00. Sull’isola non si può pernottare.

Quando sbarcai mi resi immediatamente conto dell’impressione sbagliata che mi ero fatta la prima volta e di cosa avevo perso fino a quel momento. Messi i piedi a terra si è immediatamente catturati dal fascino dell’isola , gli edifici abbandonati, la piccola pineta e la Cala San Giovanni, una delle più belle spiagge dell’arcipelago toscano, ti portano indietro nel tempo.

Grazie alla presenza del carcere, aperto nel 1858 e allora chiamato colonia penale agricola, l’isola è rimasta incontaminata, non tanto a terra, dove ha subito notevoli sconvolgimenti a causa delle attività dell’uomo, quanto in mare.

I divieti di avvicinamento di un tempo e i vincoli attuali imposti dal Parco Nazionale, hanno conservato le sue acque circostanti per almeno 150 anni rendendole tra le più ricche del Tirreno centrale. I fondali ricchi di praterie di posidonia sono una perfetta nursery per un gran numero di specie di pesci che qui trovano l’ambiente adatto per la riproduzione.

L’arrivo al porticciolo lascia il visitatore incantato per la sua bellezza, gli edifici che si affacciano sul porto, pur essendo in precarie condizioni, hanno un’attrattiva tipica del borgo marittimo ottocentesco di cui abbiamo molti esempi in Italia, ma lo stato di abbandono in cui versa sia il borgo che il forte napoleonico tramutano presto il senso di pace e bellezza in allarme perché se non verranno prese importanti decisioni per il suo recupero questa perla del Tirreno potrebbe essere perduta per sempre.

Addentrandosi nel paese si notano ancora le presenze di un recente passato come il vecchio ufficio postale, l’ ex biglietteria della Toremar e la casa abbandonata dell’agronomo che era  la persona responsabile delle colture quando la colonia penale era in funzione. Oggi sull’isola vivono alcuni Carabinieri, una guardia carceraria con la famiglia e alcuni reclusi, pochi in verità. Questi, in condizione di semilibertà, gestiscono una cooperativa che ha come scopo primario la conduzione di un piccola trattoria e la vendita di alcuni souvenir di produzione artigianale. L’isola è pattugliata periodicamente dalle motovedette della Capitaneria di Porto di Portoferraio che ha il compito di sorvegliare le acque circostanti e far rispettare le direttive del Parco Nazionale durante tutto l’arco dell’anno. Da giugno a ottobre vengono distaccati sull’isola 3 militari della Guardia Costiera. La forte collaborazione nell’attività di vigilanza tra la Guardia Costiera il Corpo Forestale dello Stato e alcune organizzazioni volontarie hanno portato recentemente ad importanti successi nella lotta contro il bracconaggio in mare sequestrando attrezzature e pescherecci sia italiani che stranieri.

Pianosa teatro di contese storiche: in epoca Romana l’isola fu oggetto di scambio e passò di mano più volte in seguito a battaglie vinte o perse e divenne luogo di esilio di Agrippa nipote dell’imperatore Augusto dove poi qui trovò la morte per mano di un sicario. Sono di quest’epoca i resti della villa romana, dell’anfiteatro e dei bagni di Agrippa che, sebbene poco ne rimanga, si possono ancora visitare. Con un salto temporale di 1000 anni arriviamo alle battaglie navali tra Pisa e Genova che si contesero il dominio dell’arcipelago per più di due secoli. Passò poi ai Corsi, ai Visconti di Milano, agli Spagnoli nel 1520 sotto Carlo V, vi passarono pirati di ogni genere, fino ai francesi che alleati con i turchi combattevano la Spagna dando inizio ad un’altra era di battaglie tra Francesi e Spagnoli. Corrono gli anni ed arriviamo alla conquista di Napoleone che riunì tutte isole dell’arcipelago sotto il territorio della Repubblica Francese. Napoleone si occupò di Pianosa anche durante il suo esilio all’Elba cercando di ricostruire ciò che era andato distrutto nel corso delle ultime battaglie. La storia di Pianosa è ben più complessa di quanto menzionato in queste poche righe. Per la sua fortunata, o sfortunata, posizione strategica l’isola fu oggetto di grande attenzione in tutte le epoche della nostra storia, distrutta e ricostruita, saccheggiata e abbandonata, ripopolata e rivissuta per secoli e secoli fino alla cacciata di un drappello di tedeschi alla fine della II guerra mondiale.

Pianosa arcaica. La storia più remota di quest’isola affonda le sue radici in ere antiche. Sono stati ritrovati alcuni reperti di insediamenti del neolitico sull’isolotto di Scola e resti del paleolitico sull’isola madre, spesso riferiti a siti di sepoltura, tanto da far pensare all’isola come un punto di solo transito e pesca delle popolazioni di quell’area che probabilmente preferivano cacciare e vivere nei territori Elbani o della Corsica ben più ricchi di acqua e animali.

Morfologicamente e geograficamente Pianosa è un’isola totalmente diversa dalle altre isole dell’arcipelago Toscano. Prima di subire la forte antropizzazione del periodo in cui ci fu la colonia penale, era coperta da fitti boschi di lecci, cipressi, pini ed eucalipti, purtroppo distrutti per far posto alle colture che assicuravano la sopravvivenza alla popolazione carceraria. Pianosa è il risultato di un affioramento di formazione calcarea della dorsale tirrenica con fondali di media profondità sul lato del continente e più profondi sul lato della Corsica. E’ una sorta di stratificazione di materiali calcarei e argillosi e conchiglie. Essendo questi sedimenti di colore bianco o comunque molto chiari, i suoi fondali riflettono la luce rendendo l’acqua di una trasparenza eccezionale.

Ci piace anche ricordare che un tempo in queste acque navigava un gioiello della cantieristica artigianale italiana, un solidissimo gozzo sorrentino costruito negli anni ’40 dal cantiere Aprea. Questa barca con armo latino fu barca da pesca prima e da trasporto poi. Per molti anni fece servizio navetta per il carcere con l’Elba. La barca, lunga 12 metri e mezzo, era talmente robusta da poter trasportare di tutto, persino la macchina del direttore del carcere negli anni ’70. Snaturata nelle sue funzioni, maltrattata per i pesanti trasporti e poi disarmata e dimenticata, venne fortunatamente ritrovata da un armatore appassionato e riportata là dove era nata, nel cantiere di Marina Grande per un accurato restauro nelle mani di quelli che sono i discendenti del suo costruttore: Cataldo Aprea. Discendenti che ancora oggi applicano i preziosi insegnamenti del nonno. Grazie anche al sapiente lavoro di studio e ricerca dello studio Faggioni di La Spezia, il Pianosa oggi naviga sicura partecipando a regate storiche e facendo bella mostra delle sue grandi qualità marine, un gioiello che ci è invidiato da spagnoli e francesi durante i raduni e regate di vele latine in tutto il mediterraneo.

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta sul Notiziario della Guardia Costiera  Ringraziamo per la gentile concessione

Le foto del Pianosa sono state pubblicate per gentile concessione di  www.velalatinacircuit.it